lunedì 12 giugno 2006

Il Teatro come Cantiere

Dar vita ad un nuovo spazio culturale, oggi, a Roma, è un gesto sciocco ed anacronistico.
La città capitale smuove la sua pachidermica mole in altre direzioni, tentando di mettersi a nuovo, di ripulire l’estetica, di formare il pubblico all’interno dei tendoni da Gran Teatro, dei fasti del Parioli o del Teatro TV del Bagaglino. La cultura abbraccia spettatori già formati nelle magnifiche onde dell’Auditorium o li culla con gli abbonamenti del Quirino. Così la superficie del movimento culturale romano brilla, apparendo vasta e propositiva, potente di voci differenti e sonore, varia come quella di un fiorente nodo risorgimentale.... ma la ricerca?
La sperimentazione, cavalcata nelle cantine romane degli anni ’60-’70 si è momentaneamente inabissata, così che le voci di Julian Beck, le idee di Eugenio Barba, i gesti artaudiani di Carmelo Bene, le sonorità di Demetrio Stratos che passavano sulla capitale, si sono fatti invisibili e ora pare che nulla sia più in costruzione, che i cantieri siano nascosti e dismessi.
In corrispondenza con i lifting cittadini, come ogni vecchio segno si è rinnovato nel design e nei materiali (cabine del telefono, fermate d’autobus, intere linee architettoniche dei quartieri), così le officine ed i cantieri vengono mimetizzati ed il primo gradino del lavoro di edificazione diviene vergognoso... appaiono nomi di copertura sulle insegne dei negozi, per infiorettare la grammatica del vero con metafore e sinonimi; immensi teloni alla Christo oscurano le impalcature e i restauri, per nascondere i muratori felliniani al lavoro, la calce, i tubi, il cemento.... Roma diviene una variazione sul tema delle città invisibili di Calvino, un luogo dove ci si vergogna della materia grezza, ove la mano non deve essere mostrata ma solo la rifinitura del gesto, ove il ‘senso’ può essere sostituito dal ‘come’. Le locandine dei Teatri, i Cartelloni di programmazione culturale si gonfiano di nomi di richiamo, ed i prezzi dei biglietti salgono verso cifre inadatte ed ingiuste.
Un senso di gioia allora viene al Gruppo di Ricerca Integrata e di Teatro Patafisico YGRAMUL LeMilleMolte nell’invitare un pubblico nuovo a visitare i propri spazi culturali; un sorriso ludico nel mostrare le pareti ancor non imbiancate, i calcinacci nei sacchi agli angoli, la polvere sul pavimento, le luci penzoloni. Non una sciatteria da centro sociale, non un abbandono incosciente, ma al contrario il potente racconto del vero, di un percorso che, nell’arco di un anno, dal Febbraio del 2005, ha portato questa piccola compagnia di ricercatori del teatro ha edificare con le loro stesse mani (senza ditte e operai specializzati) una sala teatrale, ricreandosi fabbri, muratori, elettricisti, architetti. Ora, nel giugno 2006, il Teatro Ygramul, ancora in costruzione, ha raggiunto la giusta soglia per poter ospitare il pubblico senza offesa, nei margini di sicurezza della legge, nel giusto livello estetico che permetta agli ospiti del teatro di vivere il ‘cantiere’ in continuo lavoro e di non subirne troppi fastidi o scomodità. Il pubblico verrà accolto con partecipazione in un luogo che rappresenta il primo passo di un’officina iperattiva, ed i suoi spettatori saranno partecipi ogni mese del grande lavoro che prosegue, scorgendo salire pareti, colorarsi i muri, montarsi le assi del palco... lo stesso quartiere popolare di San Cleto (San Basilio), che dialoga già da 1 anno con i teatranti di Ygramul, mostrerà al pubblico un ‘sommerso’ di Roma che noi desideriamo illuminare e far respirare, sul quale molta ricerca è stata fatta negli anni passati ed oggi si deve riattivare... le voci e i ritmi di Pasolini, il Carcere di Rebibbia, le case occupate di San Basilio, le Associazioni del Parco Podere Rosa, la storia dei quartiere operai.
La periferia rimane un Cantiere alla luce del sole, vergognosamente vivace e violenta, grottesca e vera, ove è più alta la difficoltà per costruire un ascolto ed un pubblico per il Teatro; ma noi riteniamo sia esattamente qui, nella ricerca e nelle nostre spirali patafisiche, nei gesti del terzo teatro al quale ci ispiriamo, che Ygramul ci chiede di narrare. Ecco il nostro primo, ingenuo e felice, vagito. Ascoltatelo!
Vania Castelfranchi